Archivi categoria: Ebraismo

Etty Hillesum – La ninfa mistica

Schermata 2014-04-05 a 19.32.10Quando, nell’autunno del 1943, partì definitivamente per il campo di smistamento nazista di Westerbock da cui sarebbe stata trasferita ad Auschwitz dove fu uccisa il 30 novembre dello stesso anno, Etty Hillesum portò con sé una copia della Bibbia e un dizionario di russo. La ragazza, 29enne, aveva lasciato a casa ad Amsterdam, nella casa del contabile vedovo Hendrick Wegerif, il caro “Han”, un uomo di 62 anni con il quale conviveva “more uxorio” dal ’37, tutti gli altri libri che l’avevano accompagnata negli anni dell’attesa della fine: le poesie e le lettere di Rilke, i romanzi di Dostoevskji, i racconti del “nervoso, inquieto Gogol”, le Confessioni dell’ “austero, ardente Agostino”. Aveva consegnato a un’amica, con la preghiera di pubblicarli, gli undici quaderni che nel corso dei tre anni precedenti la deportazione aveva riempito dei propri appunti e pensieri, riflessioni e preghiere, “delle scorie dei miei eccitati stati d’animo” e delle storie vissute pericolosamente nella stagione della sua conversione spirituale, della sua nascita poetica e della sua grande avventura sentimentale. L’amica, nel dopoguerra, rimise l’enorme zibaldone nelle mani di uno degli ex amanti di Etty, Klaas Smelik e fu il figlio di costui a convincere l’editore olandese J. G. Gaarlandt a pubblicarne una selezione alla fine degli anni Settanta. Quando, il 1° ottobre 1981, l’antologia fu presentata in conferenza stampa al Concertgebouw di Amsterdam, riscosse un successo immediato. Fu ristampata in 26 edizioni, tradotta in 28 lingue, pubblicata in Italia per la prima volta nel 1985. Ma non era, appunto, che un’antologia. Oltre metà del “Diario” era rimasto inedito. L’edizione integrale curata da Klaas A.D. Smelik, tradotta da Chiara Passanti e Tina Montone (conla collaborazione di Ada Vigliani per le parti in tedesco) che è appena uscita da Adelphi (922 pagine, 35 euro) vale oggi a prendere bene le misure – il che non significa ridimensionare – di quello che da un trentennio è considerato uno straordinario documento di forza morale, un’esemplare testimonianza di fede, il capolavoro poetico della giovane martire e mistica che, nell’ora in cui più acuta si faceva la consapevolezza dell’imminente annientamento, tanto più fervidamente seppe esprimere il proprio amore per la vita. Continua a leggere

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Inge e Paul

Schermata 2014-04-05 a 22.31.38Aspettare lettere è una pena. Come dargli torto? “Inge, auf Briefe warten ist schwer” scriveva Paul Celan alla Bachmann nell’ottobre del 1950. Le scriveva da Parigi. E, aspettando le buste affrancate col timbro di Vienna, da un paio d’anni penava, languidamente. A intervalli più o meno lunghi, scanditi dalle suppliche “scrivi più spesso e regolarmente”, “rispondi presto”, “dimmi presto di te”, “fammi sapere, anche solo con una di quelle parole leggere che saltano fuori quando si è soli e si possono pronunciare solo a distanza”. A intervalli più o meno brevi, a seconda di quanto decidesse di prolungarli colei – la poetessa di “Il tempo dilazionato” – che con la posta si faceva aspettare. Ma Ingeborg aveva un mucchio da fare. Gli studi da finire, le collaborazioni con i giornali da coltivare (la “Wiener Tageszeitung”, “Die Zeit”), l’impegno da redattrice e script-writer con le emittenti radiofoniche (Rot Weiß Rot, Radio Brema, Beyerische Rundfunk). Ed era comunque la prima a conoscere lo stesso languore. “Ho fame di qualcosa che non mi sarà dato”, gli scriveva nel giugno 1949. E se ne stava lì, lontana, digiuna e golosa, a patire la “Dura legge d’amor” – citava in italiano il Petrarca nell’“Invocazione all’Orsa Maggiore” -, obbediente all’amore che si nutre di desiderio più di quanto non nutra di soddisfazione. Senza esagerare però. Infatti “Mio caro, tu dovresti sapere quant’è logorante stare in attesa della posta”, protestava.  Continua a leggere

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Walser e Sebald, due solitari a braccetto

Schermata 2014-04-19 a 21.44.04Schermata 2014-04-19 a 21.42.42Passeggiare è una maniera di scappare: lentamente, senza dare nell’occhio. Di dileguarsi all’aria aperta, en plein soleil, senza preoccuparsi di cancellare le tracce. Anche scrivere è un modo per nascondersi: di rendersi tanto più invisibili quanto più vistosa è la scia di parole che ci si lascia dietro. Tanto più evanescenti quanto più fitta e stretta è la trama di pensieri in cui ci si avvolge. Robert Walser scriveva come si va a passeggio. Negli anni in cui era ancora a piede libero e stringeva la penna in mano come l’ago infallibile di una bussola – negli anni precedenti il fatidico 1933 in cui precipitò nella follia, la penna gli cadde una volta per tutte dalle mani e alla sua sfrenata libertà pose fine il ricovero nella clinica psichiatrica di Herisau, dove morì nel 1956 – andava a spasso nel Paese delle Matite. Tutte le metafore ritrovano il loro senso letterale nella sua Terra del Lapis: il Bleistiftgebiet come i suoi interpreti hanno definito la messe dei microgrammi, biglietti, foglietti compilati dallo scrittore di Bienne a partire dagli anni Venti e riempiti fino al limite dei margini da una scrittura sempre più minuta e sempre più leggera. Pagine e pagine di prosa e poesia, drammi e narrazioni. Fogli sparsi come passi persi. Disseminati come un’esca (o una trappola, o una copertura mimetica) per invitare (o catturare, o depistare) il lettore dotato di pazienza e di spirito di avventura.  Continua a leggere

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Il maestro e la ninfa silvestre

Schermata 2014-05-05 a 14.11.28Presi separatamente, basterebbero ad attirare l’attenzione dei non addetti ai lavori, come dimostrano le numerose biografie dedicate a entrambi. Lei, la filosofa che era nata a Königsberg come Kant, l’ebrea che si era identificata nell’eroina romantica Rahel Varnhagen, l’intellettuale che a New York fumava sigari e rifletteva sulle Origini del totalitarismo. Lui, lo studioso che tradì presto i suoi maestri e gettò scompiglio nel mondo accademico rivoluzionando la scena filosofica novecentesca, il professore che si lasciò investire da una folata dello spirito del tempo e si accese di entusiasmo per la causa del Reich, l’eremita di Todtnauberg che finì i suoi giorni in solitudine meditando le parole dei poeti dal cuore della Foresta Nera.

In più, si innamorarono l’uno dell’altra. I segni uguali e contrari che li presentavano come due opposti, tanto perché l’attrazione fosse irresistibile e fatale, c’erano tutti. Lei una figlia di Israele, lui il critico della “giudeizzazione dello spirito tedesco”. Lei militante tra le file dei sionisti, lui il rettore di un’università nazista. Lei intellettuale “engagée”, votata alla vita activa. Lui, a parte l’errore politico (la Dummheit, la “sciocchezza” come la definì in vecchiaia) del 1933, estraneo a qualsiasi impegno politico.  Continua a leggere

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