Baffi fluenti, sopracciglia arruffate, le spalle incurvate che mimano la linea del dorso della pipa, immancabilmente stretta tra le labbra. Bastano poche pennellate per mettere in rilievo i tratti inconfondibili della fisionomia di Günter Grass, che lo stesso Günter Grass, pittore prima che scrittore, si è divertito più di una volta a caricaturare nei numerosi autoritratti. Con i disegni ha illustrato uno dopo l’altro i suoi romanzi, confondendo il proprio profilo con quello dei suoi personaggi. E così, sulla copertina del “Tamburo di latta” (1959) si presentava nella statura breve del nano Oskar Matzerath, gli occhi di bambino “nella perennità dei suoi tre anni” aperti a guardare gli eventi del mondo che diventavano storia, le mani strette a pungo sulle bacchette con cui batteva (a volte furiosamente) sullo strumento bianco e rosso scandendo lo scorrere del tempo. Oppure, per dare un volto all’autore degli appunti “Dal diario di una lumaca” (1972), in cui sono registrate le tappe del viaggio compiuto nel 1969 accanto a un Willy Brandt in campagna elettorale, attorcigliava nell’iride dell’occhio la spirale del guscio di una chiocciola. E, ancora, illustrando la cronaca del suo soggiorno indiano, “Mostrare la lingua” (1988), non disegnava la dea di Calcutta, Kalì mentre, come vuole il titolo del libro, manifestava disprezzo e vergogna con la sfrontata boccaccia infantile, bensì se stesso che, gli occhi sbarrati dietro gli occhiali, osservava il rettile, o l’anguilla o l’angosciosa creatura anfibia che strisciava fuori dalle proprie labbra. O infine, dopo il breve (e letterariamente fallimentare) passaggio in India, quando tornò a scrivere di Germania per richiamare all’assennatezza i tedeschi all’indomani di una dissennata riunificazione, immaginava di rivolgersi loro con il verso di un rospaccio del malaugurio. E accompagnava “Il richiamo dell’ululone” (1992) con un ritratto di se stesso visto di profilo mentre guarda negli occhi il grosso ranocchio dal dorso verrucoso che, in Germania, le tradizioni popolari vogliono saggio nunzio di sventure.
La galleria degli autoritratti del più famoso scrittore tedesco vivente tende a scivolare verso il suo fantastico bestiario di animali simbolici, funestamente profetici. Alla lumaca, immagine di un progresso “che va troppo piano” e all’ululone, sinistro e inascoltato preveggente, vanno poi aggiunti i cani, i gatti, i topi. “La ratta” (1986) che sopravviverà alla fine dell’umanità e “Il rombo” (1977) che dell’umanità rievoca le origini remote, indietro fino al neolitico. Continua a leggere →