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Catturando i sogni in punta di matita

«Giro il mio mantra: la matita nel temperino», annota Peter Handke in una riga del suo diario, il suo Journal, come lui stesso chiama il taccuino in cui da anni, da sempre, pratica l’esercizio di un’attenzione giornaliera. Basta una riga, un gesto, che si compie inequivocabilmente come un rito, a dare il senso di quanto segreto e insieme solenne, intimo e insieme universale, silenzioso e tuttavia carico di energia sia il momento in cui lo scrittore si prende cura del suo inseparabile utensile, affila la sua arma – oggetto potente quanto innocente -, prepara il suo strumento di scrittura e di cattura. Sono naturalmente tutte incruente le sfide che affronterà con la matita in pugno, quell’arma così sottile e acuminata non farà vittime, né la sua impresa punterà a riportare vittorie o trofei. Eppure, a noi che lo leggiamo da anni avvertendo sulle sue pagine la tensione viva della parola che aspira a far presa sul mondo, Handke appare come una figura eroica. Tanto più là dove l’intonazione della sua scrittura si fa più assorta, dubitativa, meditativa Continua a leggere

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Scintille di poesia, all’ombra notturna degli alberi

Handke BaumschattenEra proprio così. Peter Handke l’aveva intuito e intonato in un canto trent’anni fa, e il tempo gliel’ha confermato. La durata è il sentimento della vita, più profondo dell’estasi dell’attimo e ugualmente fugace e imprevedibile; ha a che vedere con gli anni, con i decenni, con l’intimità di un luogo domestico e segreto – la stanza di lavoro, il suo giardino – come pure con l’avventura nel mondo; comunque, ovunque, irradia calore, regala conforto, induce a pensare, diffonde la quiete e il silenzio, ristora… Parafrasiamo così ciò che questo immenso autore austriaco cantava nei versi composti nel 1986 per un’urgenza, una necessità di ricorrere alla poesia dettata da quella stessa incomputabile misura di tempo che non avrebbe mai potuto descrivere, o «trasformare in scrittura» attraverso un saggio, un dramma, una storia. Così nacque, o «gli arrivò in volo», come a Handke piace esprimersi, il Gedicht an die Dauer, tradotto ai tempi con una sintonia felice e perfetta come Canto alla durata da Hans Kitzmüller per la piccola casa editrice Braitan di Brazzano in provincia di Gorizia – situata sullo sfondo del paesaggio friulano del Carso così noto e caro a Handke – e riproposto ora prestigiosamente da Einaudi nella stessa versione curata da Kitzmüller (con testo tedesco a fronte 64 pagine € 10). Continua a leggere

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Handke: la scrittura che accompagna i giorni

hhhPassare in rassegna gli attrezzi del mestiere di Peter Handke è una festa. Si prova la stessa gioia smagliante, la stessa golosità infantile dello scolaretto che, con la cartella ancora tutta da riempire, entra in cartoleria. Ci sono matite, tante, tutte con la punta medio morbida HB, quella che lascia sulla carta un bel segno grigio chiaro. Pastelli da disegno. Biro, di vari colori. E i quaderni, di varia fattura: dai fascicoletti più eleganti rilegati in pelle ai block notes a spirale. Preferibilmente hanno i fogli bianchi, tutt’al più a righe. L’importante è che siano, alla lettera, tascabili, perché devono sempre stare in una tasca: quella dei pantaloni quella interna o esterna della giacca, nel taschino del gilet. Non sono mai più grandi del formato A6. Handke ne porta sempre uno appresso, addosso, per tirarlo fuori all’occorrenza ovunque: il più delle volte all’aperto, in viaggio, in cammino, sugli autobus, sui treni, durante una breve sosta alla stazione, in una chiesa, al bar. Mai alla scrivania. La redazione al tavolo di lavoro avviene in un secondo momento. Il momento della scrittura, o “l’attimo della parola” – come Handke lo definì in Il peso del mondo, nel testo con il quale scoprì per la prima volta, era il 1977, con sua stessa sorpresa, questo metodo non pianificato (Handke aborre in letteratura tutto ciò che è studiato, calcolato, artefatto, mascherato) – l’istante “in cui il linguaggio si anima, si ravviva” accade in presa diretta con l’esperienza. Accade quando l’autore “reagisce immediatamente, con la parola” a ciò che gli capita: a ciò che vede, ascolta, legge. Non si tratta, si badi bene, di diari. Non vi è niente di personale, di privato. Né tanto meno la “potenziale presunzione” di una coscienza che racconta le proprie impressioni. Piuttosto sono “reportage”: resoconti simultanei di una coscienza vigile.

Nel corso degli anni un simile Begleitschreiben, questa “scrittura di accompagnamento”, è diventata per lo scrittore austriaco un’abitudine irrinunciabile. Continua a leggere

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