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Catturando i sogni in punta di matita

«Giro il mio mantra: la matita nel temperino», annota Peter Handke in una riga del suo diario, il suo Journal, come lui stesso chiama il taccuino in cui da anni, da sempre, pratica l’esercizio di un’attenzione giornaliera. Basta una riga, un gesto, che si compie inequivocabilmente come un rito, a dare il senso di quanto segreto e insieme solenne, intimo e insieme universale, silenzioso e tuttavia carico di energia sia il momento in cui lo scrittore si prende cura del suo inseparabile utensile, affila la sua arma – oggetto potente quanto innocente -, prepara il suo strumento di scrittura e di cattura. Sono naturalmente tutte incruente le sfide che affronterà con la matita in pugno, quell’arma così sottile e acuminata non farà vittime, né la sua impresa punterà a riportare vittorie o trofei. Eppure, a noi che lo leggiamo da anni avvertendo sulle sue pagine la tensione viva della parola che aspira a far presa sul mondo, Handke appare come una figura eroica. Tanto più là dove l’intonazione della sua scrittura si fa più assorta, dubitativa, meditativa Continua a leggere

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Walser e Sebald, due solitari a braccetto

Schermata 2014-04-19 a 21.44.04Schermata 2014-04-19 a 21.42.42Passeggiare è una maniera di scappare: lentamente, senza dare nell’occhio. Di dileguarsi all’aria aperta, en plein soleil, senza preoccuparsi di cancellare le tracce. Anche scrivere è un modo per nascondersi: di rendersi tanto più invisibili quanto più vistosa è la scia di parole che ci si lascia dietro. Tanto più evanescenti quanto più fitta e stretta è la trama di pensieri in cui ci si avvolge. Robert Walser scriveva come si va a passeggio. Negli anni in cui era ancora a piede libero e stringeva la penna in mano come l’ago infallibile di una bussola – negli anni precedenti il fatidico 1933 in cui precipitò nella follia, la penna gli cadde una volta per tutte dalle mani e alla sua sfrenata libertà pose fine il ricovero nella clinica psichiatrica di Herisau, dove morì nel 1956 – andava a spasso nel Paese delle Matite. Tutte le metafore ritrovano il loro senso letterale nella sua Terra del Lapis: il Bleistiftgebiet come i suoi interpreti hanno definito la messe dei microgrammi, biglietti, foglietti compilati dallo scrittore di Bienne a partire dagli anni Venti e riempiti fino al limite dei margini da una scrittura sempre più minuta e sempre più leggera. Pagine e pagine di prosa e poesia, drammi e narrazioni. Fogli sparsi come passi persi. Disseminati come un’esca (o una trappola, o una copertura mimetica) per invitare (o catturare, o depistare) il lettore dotato di pazienza e di spirito di avventura.  Continua a leggere

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