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Aldo Buzzi, il retrogusto della letteratura

Aldo-BuzziMai più strizzata l’insalata dopo aver letto Aldo Buzzi. Era a portata di mano come la scoperta dell’acqua calda la sua scoperta dell’acqua fredda sulla lattuga (Boston Lettuce precisa nel «diario di un attimo» La lattuga di Boston, Ponte alle Grazie), ma è la mano di un mago quella che presenta il più trascurabile dei contorni come un prodigio di foglioline stillanti sapore, impregnate di (buon) umore, imbevute di succo d’oliva. Il trucco è presto detto (ed è ben scritto, in L’uovo alla Kok): se l’insalata è tolta grondante dal reticino, o scotitoio («come si diceva una volta»), l’acqua porta a galla il gusto dell’olio e lo fa spiccare più puro, intatto, extravergine. Il libro è un Adelphi del 1979, riproposto nel 2002 in «edizione riveduta e ampliata».

Buzzi mi torna in mente ogni volta che, a Milano, vicino alla Statale, ripasso davanti a «la trattoria scavata nel fianco della chiesa rossa di San Nazaro», quasi che, per una liturgia profana, si potesse apparecchiare nell’abside alle spalle dell’altare. «È sempre lì?», mi chiede lui che ci si era fatto servire le sgrammaticate e pur saporite Farfalle alla matricina. Sempre lì, con la sua vecchia insegna Alla Lanterna. Ma in qualsiasi ristorante od osteria non si manca di controllare le regole con cui Buzzi stabilisce l’ospitalità del locale dove sfamarsi: niente luce fredda, niente lampade al neon, niente piani di marmo. Solo legno, sedie imbottite e tavolo grande: anche per un solo commensale, meglio se si è in cinque però «e non uno di più, sennò la compagnia si divide, come un’ameba». Ammessa, per indulgenza eccezionale, la peparola, il simpatico recipiente per il «pepe macinato da tempo», o «pepe bigio»: quello che fa rabbrividire i gourmet con la puzza sotto il naso ma solletica il naso e dà un brivido di commozione a chi ci riconosce il sentore degli angoli di casa, dei vizi addomesticati, della polvere stantia… Continua a leggere

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